di Stefano Pezzola
Nel suo romanzo American Hero del 1993 lo scrittore statunitense Larry Beinhart affronta in modo drammatico ed ironico il tema della manipolazione dell’opinione pubblica attraverso il controllo dei mass media asserviti al potere.
Mancano due settimane alle elezioni presidenziali ed il Presidente degli Stati Uniti in carica viene coinvolto in uno scandalo per le possibili accuse derivanti dalla violenza subita da una minorenne all’interno della Casa Bianca.
Prima che l’incidente possa causare danni irreparabili per la rielezione, viene chiamato alla Casa Bianca Conrad Brean, consulente esperto di mass media, al quale viene affidato il compito di fare in modo che l’opinione pubblica sia impegnata con qualche altro avvenimento, così da coprire l’eventuale svolgersi della “questione” che coinvolge il Presidente.
Conrad ha una straordinaria abilità nel manipolare politica, stampa e popolazione.
Si reca subito in California, a Los Angeles, dove coinvolge abilmente Stanley Motss, regista e produttore, a partecipare all’impresa.
Dopo avere elaborato varie idee, viene trovata improvvisamente quella giusta.
Far credere, attraverso giornali e televisioni, che è scoppiata una guerra alla quale gli Stati Uniti non possono non partecipare.
Viene individuata l’Albania come luogo dove far prendere il via le ostilità, e vengono girati in studio finti servizi inviati dal fronte di guerra.
Arrivano le prime vittime di guerra e si allestisce il funerale, secondo la solenne tradizione americana.
Il piano di comunicazione prevede due fasi.
Nella prima, viene simulato un conflitto contro il piccolo stato balcanico accusato di dare ospitalità ad alcune cellule terroristiche che minacciano la sicurezza degli Stati Uniti.
In particolare, i terroristi avrebbero già pronta una bomba da spedire in Canada, prima di organizzare una strage sul suolo americano.
Viene utilizzata una sequenza per muovere a compassione i cittadini statunitensi e invitarli a sposare la causa della guerra: una giovane ragazza albanese fugge sotto i colpi d’arma da fuoco dei terroristi con in braccio un gattino; in realtà, però, la sequenza viene montata grazie all’uso di moderne tecnologie video.
Durante la seconda fase, invece, viene fatta circolare una voce secondo la quale un soldato statunitense, William Schumann, sarebbe rimasto prigioniero in Albania, ostaggio dei nemici.
Viene così montato un caso mediatico e il soldato soprannominato “Vecchia scarpa” per il suo carattere mite, diventa un eroe nazionale: viene scritta pure una canzone in suo onore.
Il ritorno in patria è atteso a gran voce dall’opinione pubblica, ma durante il viaggio in aereo qualcosa va storto: l’attore/soldato è in realtà un carcerato reo di aver violentato una suora, fatto che crea non pochi problemi all’equipaggio che deve tenerlo a bada per mezzo di psicofarmaci,
Il soldato Schumann e gli uomini del presidente si trovano casualmente in un bar.
Lì individua la figlia del titolare e, in preda ad un irrefrenabile istinto sessuale, tenta di stuprarla.
Nel frattempo il gestore, sentite le urla della figlia, interviene a salvarla imbracciando un fucile: nella concitazione esplode due colpi, che risultano fatali per il soldato.
Viene comunque allestita una cerimonia ufficiale e Schumann muore da eroe, con la sua bara avvolta nella bandiera a stelle e strisce.
Soltanto letteratura (tra l’altro dal libro è stato tratto un film di successo)?
Oppure manipolazione mediatica, menzogne raccontate all’opinione pubblica che in stato di servile prostrazione al potere, svolge il compito di amplificatore nei confronti dei cittadini?
Ricorda qualche cosa?
“Manipolare non è solo mentire, quanto agire sulle credenze altrui per indurre comportamenti dannosi per altri o per la stessa persona che li adotta”.
Abbiamo il diritto di avere una nostra opinione, possiamo credere o meno a una versione dei fatti ma quello che è certo che non possiamo avere la vera versione dei fatti.
Molti vengono oggi influenzati più di quanto non sospettino, e la nostra esistenza quotidiana è sottoposta a continue manipolazioni di cui non ci rendiamo neppure conto.
Sono all’opera su vasta scala forze che si propongono, e spesso con successi sbalorditivi, di convogliare le nostre abitudini inconsce, le nostre preferenze di consumatori, i nostri meccanismi mentali, ricorrendo a metodi presi in prestito dalla psichiatria e dalle scienze sociali.
E’ significativo che tali forze cerchino di agire su di noi a nostra insaputa, sì che i fili che ci fanno muovere sono spesso, in un certo senso, occulti.
Un precursore degli studi sulla manipolazione mediatica fu il giornalista americano Walter Lippmann che studiò, a partire dalla prima guerra mondiale, l’uso massiccio della propaganda sia da parte dei regimi autoritari che di quelli democratici.
Nel 1922 pubblicò un libro, diventato un classico dal titolo L’opinione pubblica.
In quel testo egli sosteneva che la società era diventata troppo complessa per consentire all’uomo una conoscenza diretta del suo ambiente.
A causa di questa complessità l’uomo era costretto a rappresentare il suo ambiente con modelli semplificati che Lippmann denominò pseudo-ambienti.
Il contenuto degli pseudo-ambienti veniva, secondo Lippmann, alimentato dai mezzi di informazione – a quell’epoca soltanto stampa e radio – che potevano così manipolare e distorcere i messaggi a beneficio delle politiche di pace o di guerra dei loro paesi.
Lo pseudo-ambiente è il mondo virtuale in cui la simbolizzazione ci fa vivere, in virtù del quale possiamo vivere la nostra vita, fatta più di rappresentazioni che di fatti o eventi ai quali assistiamo.
L’essere umano cerca continuamente di adattare la sua rappresentazione della realtà al suo ambiente reale, ma la qualità di questo adattamento dipende da due fattori.
Il primo è la qualità delle informazioni sempre esposta al rischio di manipolazione e che egli è in grado di procurarsi.
Il secondo dipende dalla sua capacità di analizzarle criticamente senza piegarle ai propri pregiudizi.
Negli anni ’70 lo psicologo Kurt Danziger aveva descritto, nel testo La comunicazione interpersonale, la manipolazione che ogni venditore cerca di attuare con i suoi clienti, spostando il focus della discussione dal prodotto all’immagine della personalità del cliente.
I mezzi di comunicazione di massa (radio-TV-Web) sono diventati determinanti nella creazione del senso comune.
Quel ruolo di mediazione tra la complessità della realtà sociale e l’individuo, ruolo che Lippmann aveva assegnato agli pseudo-ambienti, è cambiato radicalmente, in peggio.
Secondo il linguista George Lakoff gli pseudo-ambienti sono oggi costituiti non tanto da contenuti quanto da codici, simboli e cornici comunicative (frame), vale a dire da metafore che orientano la mente degli ascoltatori/telespettatori nella direzione voluta.
Infatti l’efficacia della manipolazione mediatica non dipende dai simboli o dalle metafore in quanto tali, quanto dalla loro capacità di creare un contesto emotivo favorevole all’accoglimento dei successivi messaggi politici.
L’idea che la manipolazione mediatica potesse scomparire con l’uso del Web si è rilevata un mito.
In realtà la rete delle reti contiene sia reti a nodi che reti a centri, del tutto simili ai sistemi della comunicazione di massa.
Tant’è vero che moltissimi media tradizionali, dai quotidiani alle TV, sono ora attivi sul web.
Con una importante differenza.
Nei sistemi a centri tradizionali il ricevente era anonimo per l’emittente che poteva avvalersi solo di un feedback deduttivo, con il quale ricostruire le tendenze e le aspettative del pubblico per segmenti e categorie più o meno vaste.
Inserendosi nella rete, questo sistema a centri può consentire a chi occupa la posizione centrale di conoscere assai meglio i destinatari, e i loro consumi comunicativi, aumentando e non riducendo le possibilità di manipolazione.
Marco Minghetti, nell’ambito del suo progetto 2.0 di intelligenza collettiva, rivolge ai disorientati di tutto il mondo la formula che guida l’interpretazione delle parole usate dai media: “oggi il potere risiede nelle parole“.