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Giovani valdarnesi nei campi confiscati alla ‘ndrangheta

Dal 21 al 26 luglio un gruppo di ragazze e ragazzi valdarnesi ha preso parte al campo estivo “E!state Liberi” organizzato da Libera a Polistena, in provincia di Reggio Calabria, nel cuore della Piana di Gioia Tauro.

L’iniziativa rientra nel progetto comunale “Terranuova Bracciolini. Un ecosistema solidale ed inclusivo”, promosso dall’Amministrazione terranuovese e cofinanziato da Unione Europea, Stato e Regione Toscana, con il supporto di Conkarma Aps, Libera e Legambiente Valdarno.

Il progetto si inserisce in un contesto di collaborazione territoriale più ampio, già consolidato grazie a un Patto di Amicizia siglato tra i Comuni valdarnesi e quelli calabresi di Polistena e Cinquefrondi:

un ponte simbolico e concreto per promuovere una cultura della legalità condivisa e duratura.

Il gruppo ha vissuto per una settimana a stretto contatto con la Cooperativa Valle del Marro – Libera Terra, che gestisce terreni e strutture confiscati alla ‘ndrangheta.

Lì i ragazzi hanno sperimentato il lavoro nei campi – dalla raccolta dei peperoncini alla pulizia dalle erbacce – e partecipato ad attività di formazione, incontri con testimoni, familiari di vittime innocenti e rappresentanti delle istituzioni.

Un’esperienza resa ancora più intensa dal racconto delle intimidazioni subite negli anni dalla cooperativa:

attrezzi danneggiati, campi incendiati, zucchero nei motori dei mezzi agricoli, furti e minacce rivolte anche ai dipendenti e al sindaco di Cinquefrondi.

Atti che non hanno però fermato l’impegno civile. «Preferisco morire combattendo la mafia piuttosto che vivere in silenzio», ha raccontato Antonio Napoli, gestore della struttura dedicata a padre Pino Puglisi.

I giovani hanno conosciuto da vicino figure simbolo della resistenza civile: don Pino De Masi, referente di Libera e parroco del Duomo di Polistena, i sindaci di Polistena e Cinquefrondi, i volontari di Legambiente e soprattutto i familiari di vittime innocenti delle mafie.

Storie dolorose, come quella di un ragazzo ucciso solo perché legato sentimentalmente a una giovane appartenente a una famiglia mafiosa.

Accanto alla formazione, non sono mancati i momenti di condivisione e socialità:

dalla caccia al tesoro tra le vie del paese agli scambi con gli abitanti del posto, che hanno mostrato ospitalità e partecipazione.

«Pensavamo che la mafia fosse un fenomeno lontano, invece a Polistena l’abbiamo toccata con mano», raccontano i ragazzi.

«Ci ha colpito la quantità di incendi che si vedono ogni sera e il coraggio di chi, nonostante le intimidazioni, continua a lavorare.

Se prima ci avessero chiesto un esempio di lotta alla mafia avremmo risposto: con la legge. Adesso rispondiamo: con il lavoro quotidiano di realtà come la Valle del Marro».

L’esperienza ha lasciato in tutti una nuova consapevolezza: «Non ci si deve girare dall’altra parte. La cultura della legalità è necessaria per vivere in una società civile.

Torniamo a casa con amicizie nuove, la conoscenza di un mondo nascosto e persino con un po’ di ’nduja e peperoncini, ma soprattutto con la volontà di impegnarci di più anche nel nostro territorio».

Molti dei partecipanti hanno espresso il desiderio di tornare, magari da accompagnatori di altri giovani.

«Lo consigliamo a tutti: non è solo formazione, ma anche divertimento, crescita personale e coscienza civile».

Un’esperienza che dimostra come il progetto non resti confinato alla teoria, ma diventi occasione concreta di incontro, memoria e impegno attivo contro le mafie;

un viaggio che mostra che il cambiamento è possibile, e che spesso inizia dai piccoli gesti, dai semi piantati nei campi confiscati.

Semi che, come loro, sono destinati a diventare germogli di legalità.

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