Quando intervistai Franco Di Mare

Fu grazie al Giardino delle Idee, e grazie ad un Roberto Fiorini – genio librario di quell’evento che manca all’appello di un’Arezzo svogliata ed in disarmo-, che incontrai Franco Di Mare.

Presentò un libro col suo garbo e classe di giornalista di Altra Specie, della categoria dei Damato, Piroso, amabili, col sorriso, ma profondi. Razza pressoché estinta. Oggi i cosiddetti giornalisti sono commedianti  intrattenitori che ci fanno perdere tempo, che non ci danno più un pensiero diverso, un pensiero libero, una ottica non colta da molti. I cosiddetti giornalisti sono diventati dei Barbara D’Urso della tv, e Barbara D’Urso da semplice presentatrice tentò a sua volta di essere giornalista. Un mondo a rovescio, direbbe qualcuno.

Franco Di Mare era in splendida forma, e pur conducendo un programma mattutino in RAI riusciva ad uscire dalla banalità di programmi di quella fascia oraria.

Quando lo intervistai fu carino e disponibile, ed ad un mio chiodo fisso di domanda che faccio ai giornalisti di un certo tipo, circa la possibilità che scrivendo qualcosa cambi - mia croce spirituale - lui mi dette una risposta che poi ho fatta mia, riciclandola più volte quando scrivo.

"Volevamo cambiare il mondo, ma poi ci siamo resi conto che è già qualcosa se siamo riusciti a cambiare noi stessi".
Questa è la pomata che mi spalmo quando ho dolori spirituali, e le mani non vogliono scrivere. Il mio pensiero va a lui per avermi acceso questo led.

La sua scomparsa è un altro morso che diminuisce la mela che abbiamo a disposizione, di pezzetti di valore che se vanno con un click, come carte veline spazzate da un tornado che non non tiene conto di alcuna cosa. Passa e Toglie.

Ma la cosa che mi tocca ancora di più, dopo il fatto che uno scompare, è l’Indifferenza.

Lui personaggio pubblico, recente direttore di Rai3, ha lamentato nelle scorse settimane che da quando ha diffuso la notizia della sua malattia, che poco lasciava sperare, non ha ricevuto nemmeno una telefonata dalle centinaia di persone che nella vita ha incrociato. NESSUNO.

Quando uno entra in una zona di patologia possibilmente letale, gli Umanoidi danno il peggio di sé.

Avviene in una misura ancor più letale, tra rispetto del momento, rispetto della mi-ha-rotto-i-coglioni privacy, della propria inadeguatezza a pronunciare parole in frangenti importanti, essendo così presi a fare post trapana cervello con errori linguistici, con ovvietà untuosamente ovvie, che si sono persi i principi base della RELAZIONE Umana, od almeno come cantato da Bruce Springsteen dello HUMAN TOUCH, il Tocco Umano.

Ed ecco che l’ultimo atto di Vita di una persona invece di essere adornato di affetto e di tributi è il Festival della Scatteria Umana.
Basterebbe comprendere solo due cose.
La potenza di alzare almeno il telefono e dire alcune parole all’amico, meglio se solo conoscente, è ancora più potente la telefonata da un quasi sconosciuto.
E la seconda cosa di andare da questa Persona ed abbracciarla, senza dire niente, abbracciarla e basta.

Difficile? Oggi sono due montagne invalicabili.

Quando morirò se vi provate a scrivere, RIP, Che la terra ti sia lieve, Buon Viaggio, esco dalla bara e vi dò un calcio sui coglioni.

Amen. Così Sia.

Nick Cave, il cantante australiano, per quelli non addetti ai lavori, ha avuto l’esperienza di avere ben due figli in giovane età che gli sono scivolati dalle mani, e sono deceduti in circostanze tragiche. Lui era occupato a esibirsi nel mondo. Come direbbe Fabrizio De André, lei signora è piuttosto distratta, ha perso un figlio…

Nick Cave ha scritto vari brani, quasi 3 CD interi, su questa esperienza della morte dei figli.

Ve n’è uno  in cui ha espresso l’irrefrenabile necessità di vedere per l’ultima volta un famigliare.

Una corsa in macchina nella città, arriva a casa, salta la siepe e si getta ad aprire la porta di cucina per trovare la persona, vederla sorridere e carezzarla per l’ultima volta. Just in Time, Giusto in Tempo.

Voglio aggiungere una terza cosa alla corta lista delle due sopra.

Date una Carezza alla Persona, sulla mano se siete timidi, sul volto se siete ad un livello superiore di confidenza con voi stessi.

O come direbbe Otis Redding con versi che non si scrivono più, Try with a Little Tenderness, Prova con un po’ di Tenerezza.

Sto diventando Papa?

 

Lieta Domenica.

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Piero ROSSI
Aretino Turista ad Arezzo,
itAlien Immigrato in Italia
info@pierorossi.it
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