Tribunale di Siena: “illegittimo il provvedimento di sospensione lavorativa per violazione della normativa impositiva dell’obbligo vaccinale”

In data 21 aprile 2023 è stata depositata a firma del giudice Delio Cammarosano presso il Tribunale di Siena sez. Lavoro la sentenza n. 429/2022 rgl.
Al seguente link il citato atto in formato pdf.
Sentenza Trib. Siena 21-4-23 amministrativo
Una lavoratrice dipendente dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese, impiegata a tempo indeterminato assistente amministrativo, cat. C/4, presso il Dipartimento Tecnico – divorziata, madre di due figli non percipienti redditi propri, in quanto entrambi studenti, ed il cui sostentamento si basa esclusivamente sul reddito da lavoro dipendente della lavoratrice – con lettera del 12/04/2022, viene invitata a produrre, entro 5 giorni dal ricevimento della medesima, la documentazione attestante la vaccinazione anti-Covid e/o attestazione inerente l’omissione o il differimento della stessa, oppure richiesta di vaccinazione da eseguirsi entro 20 giorni.
Richiesta ritenuta illegittima dalla lavoratrice in quanto in evidente contrasto con quanto statuito sia dalla normativa impositiva dell’obbligo vaccinale di cui all’art. 4 del d.l. n. 44/2021, sia con quanto previsto dal Ministero della Salute, laddove, con Circolare n. 32884 del 21.07.2021, che ha stabilito che, nei soggetti con pregressa infezione da SARS-CoV-2 (decorsa in maniera sintomatica o asintomatica), la vaccinazione “venga eseguita preferibilmente entro i 6 mesi dalla stessa e comunque non oltre 12 mesi dalla guarigione”.
Pertanto, con lettera del 21/05/2022, la lavoratrice invitava l’Azienda datrice ad astenersi dall’applicare alla medesima qualsivoglia provvedimento di sospensione dell’attività lavorativa, richiamando i principi suddetti.
Invece l’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese, con deliberazione n. 563 del 7.06.2022, incurante dei suddetti principi provvedeva a sospendere la lavoratrice con effetto immediato e fino al 31/12/2022.
Il giudice Cammarosano ha rilevato che “il rilievo costituzionale della salute come interesse della collettività comporta che ciascuno può essere obbligato a un dato trattamento sanitario, anche se questo importi un rischio specifico, trovando tale obbligo una giustificazione nel principio di solidarietà che rappresenta «la base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente» (sentenza n. 75 del 1992). Tuttavia, l’imposizione di un trattamento sanitario richiede il rispetto di criteri ormai consolidati dalla giurisprudenza costituzionale, ossia: che il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche quello degli altri; che il trattamento non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per le normali conseguenze, temporanee, tollerabili e di lieve entità, che caratterizzano ogni intervento sanitario; che, nel caso di danno ulteriore alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato. Il rischio di evento avverso, anche grave, dunque, non rende di per sé costituzionalmente illegittima la previsione di un obbligo vaccinale, costituendo una tale evenienza titolo per l’indennizzabilità“.
In tal senso, la legge che impone l’obbligo della vaccinazione si muove al limite di quelle che sono state denominate «scelte tragiche del diritto», poiché sofferenza e benessere non sono equamente ripartiti tra tutti, ma stanno integralmente a danno degli uni o a vantaggio degli altri.
Entro tali confini, la decisione di imporre un determinato trattamento sanitario attiene alla sfera della discrezionalità del legislatore, da esercitare in maniera non irragionevole (sentenza n. 118 del 1996).
Lo Stato, al dichiarato fine di prevenire il contagio, ha tenuto lontano dal lavoro il prestatore, temporaneamente, dato che il rapporto è mantenuto in vita, e ha disposto che il datore di lavoro non possa subire un decremento economico da questa sua scelta, ritenuta legittima, liberandolo dall’obbligo di versare la retribuzione al prestatore.
Tuttavia, si è osservato, non avrebbe potuto considerarsi legittima e quindi libera, la scelta di non vaccinarsi “quando da essa sarebbe dipesa la perdita della normalmente fondamentale, se non unica, fonte di sostentamento economica del lavoratore e, assai spesso, della sua famiglia“.
Risuonano le espressioni della Risoluzione cit. del Consiglio d’Europa, “la vaccinazione NON è obbligatoria e che nessuno subisce pressioni politiche, sociali o d’altro genere per farsi vaccinare, se non è la persona stessa a volerlo”.
Non è in effetti contestabile che la scelta stessa non sarebbe stata libera, e quindi legittima, laddove avesse comportato la conseguenza descritta, e, in ogni caso, alla luce della ragionevole considerazione che dalla perdita della retribuzione non si sarebbe determinato alcun genere di prevenzione dal contagio.
E qui deve essere riproposta la questione fondamentale dell’affermato principio, nelle decisioni della Corte Costituzionale, secondo cui le scelte del legislatore, basate sulle evidenze scientifiche disponibili al momento, debbano essere soggette ad una continua verifica alla luce del mutamento delle stesse che, pure, ne costituisce una caratteristica normale e ricorrente.
Al riguardo, per esempio, nella sentenza n. 14 si sottolinea il passo, secondo cui “la discrezionalità deve essere esercitata dal legislatore alla luce «delle acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica, che debbono guidare il legislatore nell’esercizio delle sue scelte in materia (così, la giurisprudenza costante di questa Corte sin dalla fondamentale sentenza n. 282 del 2002)» (sentenza n. 5 del 2018)”.
Ma a questo riguardo, le evidenze scientifiche tenute in considerazione dalla Corte Costituzionale sono, se non altro, superate, evidenziandosi, si è commentato, una contraddittorietà tra la ribadita affermazione della necessità di seguire l’evoluzione dei dati e delle conoscenze scientifiche, e la scelta di non considerarle nella medesima decisione, pur se giunta quasi dopo due anni dai dati su quali si afferma sarebbe stata basata la scelta legislativa.
La finalità perseguita sarebbe stata rappresentata dalla “prevenzione dal contagio del virus Sars-Cov 2” che, si riteneva potersi ottenere o con la vaccinazione o con l’allontanamento dal lavoro.
Tuttavia, molteplici le evidenze scientifiche che hanno, in breve fluire di tempo, dimostrato la falsità dell’assunto di base.
Sono poi dati notori che nella conferenza stampa di fine anno del 22/12/2021 il Presidente del Consiglio Mario Draghi ebbe modo di dichiarare pubblicamente di essere a conoscenza che due dosi di vaccino erano inidonee a garantire la protezione dal contagio, mentre, nell’audizione tenuta nella speciale Commissione Covid del Parlamento Europeo del 10 ottobre 2022, la delegata per la Pfizer Sig.ra Janine Small ha, tra l’altro, affermato come non fosse stato condotto alcun studio specifico da parte della società produttrice del vaccino sulla possibilità di immunizzare dal contagio.
Quasi superfluo sottolineare la rilevanza e la gravità dell’affermazione del produttore dei vaccini di cui sopra, avvenuta in tempo utile perché la Corte ne tenesse conto, un dato si è osservato, “che, più che natura scientifica, ne assumeva di confessoria” e che avrebbe potuto e dovuto sollevare quel legittimo dubbio sulla medesima effettività dell’obiettivo perseguito, la prevenzione dal contagio, tale da incidere sulla decisione della Consulta nel senso dell’illegittimità, almeno, della mancata erogazione degli emolumenti.
Accertata pertanto la illegittimità della Deliberazione n. 563 del 7.06.2022 di contenuto sospensivo dalle mansioni e dalla retribuzione della dipendente, il giudice condanna l’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese al pagamento in favore di € 5.151,20 lordi oltre interessi legali e condanna l’Azienda convenuta, contumace, al pagamento delle spese processuali, liquidate in € 2.626,00 oltre Iva, Cap e 15 % come per legge“.